
24 giugno, 2022
Malaria: a combatterla ci pensa Joshua Miago. Nato in una baraccopoli di Nairobi, cresciuto sotto un tetto di lamiera. Questa è la sua storia
Mi chiamo Joshua, nato e cresciuto a Nairobi (Kenya) in una baraccopoli vicino alla discarica. Un posto terribile, c’è chi vi getta addirittura i bambini morti.
In famiglia eravamo in cinque, condividendo un solo letto. La nostra casa aveva un tetto di lamiera, rovinato e bucato. In Kenya, in primavera, le precipitazioni sono violente: spesso ci ritrovavamo completamente bagnati. Eravamo costretti a dormire seduti nell’unico angolo asciutto di casa. Erano momenti molto tristi.
Spesso eravamo affamati, era difficile avere qualcosa da mangiare: dovevo cercare cibo nella discarica.
La baraccopoli, purtroppo, è anche rifugio di molti delinquenti. Mia mamma aveva sempre paura che le mie sorelle potessero essere violentate o uccise. Così, cercò aiuto e costruì un’altra baracca in un altro terreno.
Anche il nuovo nostro rifugio era fatto di lamiera, mai completato: eravamo costretti a usare buste di plastica per ripararci dalla pioggia. L’acqua continuava ad allagare la nostra baracca e a danneggiarla sempre più.
Ogni volta che riuscivamo a bere un bicchiere d’acqua potabile era un miracolo, mentre il nostro unico cibo era granturco secco. In quel periodo io e le mie sorelle smettemmo di andare a scuola, dovevamo impegnare le nostre forze per cercare di sopravvivere.
Quando mia mamma venne a conoscenza di Compassion, andammo in una chiesa, dove venni registrato per il programma di adozione a distanza. Da quel momento, tutto iniziò a cambiare. Le mie sorelle ed io tornammo a scuola, le tasse d’iscrizione erano pagate da Compassion per tutti noi!
In più, potevamo mangiare cibo nutriente al centro Compassion e ricevevamo enormi contenitori di cibo e olio da portare a casa. Gli operatori di Compassion mi regalarono un’uniforme scolastica, scarpe e calze nuove. Ero felice e le usavo con cura: volevo donarle a mio fratello più piccolo!
In poco tempo, la situazione della mia famiglia iniziò a cambiare, finalmente avevamo speranza: mia mamma iniziò a vendere frutta al mercato e dopo un po’ riuscì ad aprire un piccolo negozio.
Avevo una sostenitrice, una signora speciale che mi dimostrava vero amore. Spesso, quando a scuola non avevo buoni risultati, leggevo le sue lettere. Mi incoraggiavano molto e mi davano la giusta motivazione per continuare a impegnarmi. Spesso pensavo: “Perché la mia sostenitrice mi vuole bene?”
Intanto, al centro Compassion ricevetti la mia prima Bibbia. Imparai tanto su Dio e sul suo amore, ed è proprio questo il motivo per cui quella signora mi voleva tanto bene. Se non avessi affrontato tante difficoltà forse non l’avrei mai capito. Ricordo ancora la mia preghiera: “Dio, so che mi ami, so che sei vivo”.
Terminai le scuole con ottimi risultati, così ebbi l’opportunità di andare all’università. I miei sogni stavano diventando realtà: avevo speranza per un futuro migliore, potevo diventare una guida e un esempio per la mia comunità.
La malaria è uno dei problemi più gravi in Kenya. Se in una famiglia povera qualcuno ne viene colpito, il costo delle cure è così alto che non potranno esserci soldi per mandare i bambini a scuola. Il mio sogno era quindi studiare e cercare una soluzione per questa malattia.
La malaria ha un’incidenza davvero negativa nella nostra economia. Con così tanti malati, la forza lavoro del Kenya è minore di quanto la nostra nazione avrebbe bisogno.
Dio mi ha dato la capacità di studiare in questo settore, per questo sono impegnato nella ricerca di cure per varie malattie, non solo della malaria.
Tempo fa seppi che la Radboud University (Olanda) stava sperimentando un vaccino contro la malaria. Per questo, contattai subito quel laboratorio: il mio sogno è scoprire un vaccino contro questa malattia e renderlo disponibile ai più poveri.
Mio fratello è morto perché i medici impiegarono troppo tempo per capire da cosa era stato colpito. Una situazione così non è più accettabile, bisogna fermarla.
Questa è la mia storia, ecco perché sono qui.
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